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Love me. Due pezzi di Antonio Tarantino

CREDITI

 

testi Antonio Tarantino

regia Licia Lanera

con Licia Lanera

e con Suleiman Osuman

luci Vincent Longuemare

disegno sonoro Tommaso Qzerty Danisi

costumi Angela Tomasicchio

assistenti alla regia Ermelinda Nasuto, Ilaria Bisozzi

tecnico di compagnia Massimiliano Tane

fotografia Emanuela Giusto

produzione

Emilia Romagna Teatro ERT

Teatro Nazionale

Compagnia Licia Lanera

Nella stazione di Modena, su di una scala che collega il binario al sottopasso, giace privo  di sensi, uno straniero: la folla lo calpesta con le sue enormi valigie.

In un locale a Bari vecchia uno straniero serve ai tavoli, indossa una maglietta su cui è  scritto GUCCI, al collo porta un crocifisso enorme di oro. Entrambe le cose, maglietta e  collier, sono falsi.

Su una spiaggia della Puglia una donna fa il bagno col velo sotto gli occhi allibiti dei  bagnanti.

Scoppia un temporale improvviso nel centro di Roma e dopo qualche secondo una grande  quantità di stranieri è pronta a venderti un ombrello.

Mazzi di rose, ciabatte, pelli colorate, odori acri, occhi imploranti, barbe scure, urla.  I mauritiani fanno i servizi, i cingalesi vendono le rose, gli africani maschi vendono le  collanine, le nigeriane fanno le puttane, le donne dell’est sono badanti, le musulmane non  lavorano perché i mariti non vogliono, i turchi fanno le pizze e il kebab, i marocchini  lavano i vetri e fanno le rapine, i rom rubano e con i soldi si fanno i denti d’oro. Sono gli stranieri delle nostre città, ognuno incastrato nel ruolo che gli abbiamo assegnato.  La loro specie qui, è condannata in perpetuo ad essere straniera.

Chi ha rubato la marmellata?

L’uomo nero.

LOVE ME è uno spettacolo che parla di stranieri, di lavavetri e della barbara Medea, tutti  intrappolati in ebeti e feroci luoghi comuni.

Così stupidi da farci morire dal ridere, così feroci da farci vergognare. LOVE ME è una scritta negli occhi a un angolo di strada.

LOVE ME è uno spettacolo che mette insieme due pezzi di Antonio Tarantino: l’inedito La  Scena e Medea.

L’autore descrive gli ultimi come pochi sanno fare, senza retorica, senza tabù, con violenza e amara ironia. La lingua che mette in bocca ai suoi protagonisti è una lingua cruda, che non subisce epurazioni, baluardo puro di aggressività e marginalità.  Licia Lanera

Sguardi Critici

«Love me», si riferisce allora proprio a questa specularità, interessata per ciò che attiene ai potenti e stupidamente e colpevolmente illusoria e consolatoria per quanto riguarda i loro sottoposti. E «nella giungla delle città» evocate da Tarantino, Licia Lanera ci accompagna come una guida al tempo stesso servizievole e distaccata, accondiscendente e tirannica, informata e smarrita.
Voglio dire che ci blandisce in quanto pubblico, offrendoci lo spettacolo godibile di un’eccellente prova d’attrice (l’affianca, in veste di prototipo da cartolina del «diverso», il gigantesco nero Suleiman Osuman), ma poi, nel ruolo di regista, si mette a cercare insieme con noi la via migliore per non farci dimenticare che siamo, oltre che spettatori, uomini che hanno il dovere di pensare e cittadini che, una volta usciti dal teatro, hanno il compito ineludibile di trasformare quel pensiero in azione […]. Così, è straordinaria, Licia, quando, attaccandosi sotto il naso due baffetti a metà fra quelli di Hitler e Charlot, attribuisce alla parlata del personaggio monologante de «La scena» la cadenza lombarda di una sorta di Berlusca inzuppato in Gadda e Testori. Ed è ancora più irresistibile quando, nei panni di Medea – e stavolta adottando la natìa cadenza pugliese, di modo che, le parole s’identificano con il corpo («Io sono una del luogo») – si guarda in un enorme specchio, cercando di cancellare il mondo ostile che la circonda col ridurlo alla propria immagine.

Enrico Fiore su Controscena.net, 30 novembre 2022

Ma intanto Licia, l’attrice, ha dato il meglio di sé in una recitazione sempre trattenuta che scava il nostro terribile presente, i nostri pregiudizi. Si mantiene sotto le righe, quando avrebbe potuto giocare sulle variazioni, creando una sismografia agitata delle situazioni. Così facendo, rallentando, non concedendosi picchi drammatici e melodrammatici, ci mette in evidenza, come davanti a uno zoom. (…)
L’impeto verrà nella seconda sezione dello spettacolo, nel secondo testo, Medea.

Massimo Marino su DoppioZero.com, 2 dicembre 2022

Dall’incontro tra l’esplosiva attrice Licia Lanera e le parole di Antonio Tarantino […] nasce LOVE ME: un lavoro feroce e disincantato, dotato di forza, ironia e intelligenza, senza retorica, profondamente autentico e vero.
Licia Lanera, nella duplice veste di regista ed attrice, porta in scena due opere del geniale visionario drammaturgo creando uno spettacolo di forte impatto emotivo, straniante e a tratti disturbante, che scava a fondo nei pregiudizi e nella coscienza del pubblico – scuotendolo, facendolo dubitare e riflettere..
[…] Lanera, sola in scena, ci restituisce con amara ironia lo scetticismo dell’autore. […] dà voce e corpo a queste vittime di un sistema spietato e di una società malata e compromessa. […] L’artista affronta con passione e travolgente creatività due testi complessi, facendoci rivivere le intime frustrazioni e le fastidiose sensazioni con cui convivono quotidianamente coloro che esistono solo ai margini della società.
Grazie al suo indiscusso talento e a una profonda sensibilità la Lanera costruisce un dittico che coniuga con sapienza l’aspra e a tratti crudele visione del mondo che emerge dalla scrittura di Tarantino con la dolcezza e la delicata profondità del suo sguardo.

Valentina Scocca su Teatro.it, 5 dicembre 2022

[…] Lanera aspetta gli spettatori in proscenio, scanzonata e amichevole. […] La cerimonia santifica una dimensione rituale atipica, in cui l’interprete gioca a non essere nel personaggio, prima dell’inizio. Ma siamo comunque nello spazio teatrale, e quindi in fondo anche questa è parte della recita. […] La scena racconta dell’incontro di questo ignorantello piccoloborghese con un forestiero. […] Lanera lo interpreta con una inflessione lombardo piemontese e con una recitazione pacata che poco alla volta, sorretta da una mimica e una gestualità misurata, inizia a aderire alle parole del drammaturgo in modo plastico, permettendo allo spettatore di vedere davanti agli occhi l’invettiva oscena verso l’altro sé, il rigurgito da emarginato a emigrato. La veemenza attorale che aveva finora contraddistinto Lanera, forse perché in relazione con una parola che basta poco per deformare e snaturare, […] lascia il posto a una recitazione misurata che addensa la parola, la specifica, e porta chi la ascolta dentro un senso di vivere ultimativo e desolato, […]
Si capisce che l’interpretazione sta attribuendo alle parole quasi l’intenzione vera con cui probabilmente sono state immaginate da chi gli ha dato forma di testo teatrale.
[…] Nel secondo troviamo la vicenda di Medea e del matricidio, evocato in pianti di bambini. […]
L’attrice si siede su una sedia di legno, sistemata centrale, da cui, masticando saliva con fare nevrotico, fa partire un monologo recitato con una smaccata inflessione barese, […] La scelta di intonazione cambia la cifra della drammaturgia, rimaneggiata in una direzione di coerenza più che altro formale, restando la sostanza generalmente coerente con l’intenzione dello scrittore, che aveva pensato a un dialogo fra la protagonista di Medea, e una alterità dialogica, la Vigilatrice, incarnata qui dalla presenza oscura, silenziosa ed enigmatica dell’uomo, silenzioso, spettatore. […]
Licia Lanera cerca di indagare le ossessioni, la follia, i gesti della condizione di costrizione carceraria, dando a questa figura un portato drammatico che si spinge volutamente fino a bucare la quarta parete: parla, nel suo delirio psicotico, a fantasmi, al mondo incapace di leggere la sua complessità. […]
Lanera arriva con LOVE ME a una maturità del proprio segno artistico assai risolta, in cui l’alternanza di veemenza e di misura, di tumulti e pause, permette al testo di diventare tridimensionale personaggio antropico, di avvicinarsi quasi a un’interpretazione autentica del pensiero e dello sguardo sul mondo di Trantino.

Renzo Francabandera su Pane acqua culture, 12 dicembre 2022 

[…] Due testi scritti separatamente ma che nella intuizione scenica di Licia Lanera appaiono in fondo proprio come le due parti di una mela, una all’altra coerenti e capaci di senso anche se destinate in fondo a non ricongiungersi mai.
Un uomo, in efficace en travesti, ed una donna che oggi ripropone e sopporta le stimmate antiche della Medea del tragodo.
[…] Due testi importanti e di grande efficacia, con una parola liricamente strutturata nei suoi ritmi, affannati ma sempre composti, e nelle illuminanti sonorità che l’accompagnano, due testi profondamente perturbanti in cui però, la drammaturgia, […] intuisce un flusso sotterraneo di umanità, non ancora perduta del tutto poiché metafisicamente e anche essenzialmente irriducibile, un filo di speranza, ingenua forse ma robusta. […] Una messa in scena ben condotta per drammaturgia scenica, interpretazione e regia, che Licia Lanera è brava ad incarnare trasfigurandosi, nell’uno e nell’altra e dall’uno all’altra, nelle sfumature dolorose che la narrazione dei personaggi impone.

Maria Dolores Pesce su Dramma.it, 2 dicembre 2022

[…] Licia Lanera parte dal piccolo e non dal grande, e fa bene. E ci mette il corpo, a bilanciare tutte quelle parole così facilmente citabili. I due testi di Tarantino hanno il sentore di un altro tempo, come se il mondo fosse andato avanti nel frattempo e le parole fossero invece rimaste lì sulla carta.

Gianni Manzella su Il Manifesto, 3 dicembre 2022

[…] Non potrebbe essere più penetrante e urgente il dittico che Licia Lanera ha costruito, calzandoselo addosso, nei nervi e nell’indole da sempre ferina, dalla scrittura del genio perduto, qui vivificato, di Antonio Tarantino. […]
La prima scena […] Lanera mastica una parlata settentrionale da padrone che ha appena percosso un nero questuante. […]
Il silenzio della negritudine, come in un racconto di Melville, esplode […], mentre Lanera, come in un’esecuzione, ci scarica addosso, chirurgica, le parole cartucce di Tarantino, arguto de-scrittore, filosofo contemporaneo. L’intermezzo/ cambio di scena è una liberazione sensuale. […] Pronta a sputarci addosso. Medea è una Erinni che parla il dialetto barese. […] Rinnega ogni legame. […] Attacca per difendersi. […]
Lanera è feroce. Brutale. Fuori di sé, ma lucidissima. Gioca morbida nel saliscendi di umori, si gode la tempesta di nubi di collera, di fuori che scoppia. […]
È un teatro totale, artaudiano, senza scorciatoie e senza mezze misure, quello a cui ci consegna questo piccolo capolavoro.

Francesca Saturnino su Che teatro fa/ La Repubblica, 9 dicembre 2022