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Con la carabina

CREDITI

 

di Pauline Peyrade

con Danilo Giuva e Ermelinda Nasuto

traduzione di Paolo Bellomo con la complicità di Luca Bondioli

regia e spazio Licia Lanera

luci

Vincent Longuemare

sound design

Francesco Curci

costumi

Angela Tomasicchio

aiuto regia

Nina Martorana

organizzazione

Silvia Milani

 

foto di scena Clarissa Lapolla | progetto grafico Silvia Rossini

Produzione

Compagnia Licia Lanera 

In coproduzione con

POLIS Teatro Festival

In collaborazione con

Angelo Mai

Si ringrazia

E Production

Una bambina di 11 anni che un tribunale francese ha riconosciuto consenziente allo stupro che ha subito da parte di un amico del fratello maggiore, decide, diventata donna, di farsi giustizia da sola. La storia è continuamente divisa tra passato e presente: il primo ambientato in un luna park, il secondo a casa della donna. In entrambi i luoghi si consuma una violenza, ma i ruoli sono invertiti. Con la carabina è un testo lucido e imparziale, che fugge dall’idea di dividere categoricamente il mondo in buoni e cattivi, ma analizza i meccanismi culturali e antropologici che fanno scaturire alcuni comportamenti violenti.

Questa analisi, insieme ad una scrittura viva e affascinante, sono gli elementi che mi hanno portato prima ad abitarlo, poi a patirlo e infine a metterlo in scena. Ne è venuto fuori uno spettacolo-incubo, un non luogo, in cui ci sono due attori/servi di scena che si fanno ora adolescenti ora adulti ed evocano attraverso la parola e pochi elementi scenici, la dinamica di una storia atroce.

Lo spettacolo è claustrofobico e violento, si muove scandito dalle luci di un set fotografico che muta continuamente per mano degli attori stessi.  Pensato per luoghi piccoli in cui la distanza del pubblico dallo spazio scenico è minima, la prospettiva dello spettatore quindi è vicina e continuamente disturbata da queste piantane luci, che lo mettono nello scomodo e allo stesso tempo pruriginoso ruolo di colui che spia il privato più privato. Davanti ad esso si intervalla il gioco all’orrore, la giovinezza alla morte; è un’orrenda stanza dei giochi, uno Squid Game in cui chi ha pagato il biglietto può guardare da vicino uno stupro o una morte. 

Non ci sono vincitori in questa ruota infernale, ma solo lo specchio di una società che ha fallito clamorosamente. Tra conigli, giocattoli e canzoni di Billie Eilish sfila una storia come tante, una storia miserabile per cui è impossibile non provare pena e profondo dolore.


«”Con la carabina” è allestito da Licia Lanera con la sua consueta capacità di realizzare una scrittura scenica nitida e carica di tensione. […] Proprio per chiedere a chi guarda ancor più attenzione su quello che viene detto, la regista non fa compiere quasi mai agli interpreti le azioni previste nel testo, ma costruisce una situazione sospesa, allusiva, in cui comprendiamo cosa succede dalle parole dei due, scartando così da ogni possibile realismo. […] Lo spettatore si sente intrappolato sin dai primi momenti in questa dinamica
di racconto cruda e astratta, ed è costretto a rimontare nella propria testa i vari elementi, per rendersi conto a pieno non soltanto di quanto accade, ma dei livelli più intimi e oscuri di quei profili umani.

Il tutto reso con forza singolare da Danilo Giuva e Ermelinda Nasuto, che mantengono il loro accento pugliese, facendo rimbalzare così quella scrittura geograficamente lontana nel grigiore di certa nostra provincia, capaci di tessere una minutissima trama di sospensioni impercettibili, di sguardi millimetrici, di silenzi acuminati, rendendo palpabile un’usurata quotidianità, stanca e senza prospettive, nonostante i protagonisti conoscano il mondo da così poco tempo»

Antonio Audino su Domenica, Sole 24 Ore


«La recita di Con la carabina , un testo di Pauline Peyrade nell’allestimento e regia di Licia Lanera, si svolge in uno spazio un pò claustrofobico, spoglio e scomodo, per pochi spettatori. In avanti e all’indietro rispetto all’episodio cruciale, fra silenzi e gesti ora attoniti ora esitanti, sia da parte di lei che da parte di lui. Il che non esclude l’enormità del fatto , il che forse giustifica più che ampiamente la «vendetta» da parte della ragazza/donna, con tutto il corredo di squisite efferate violenze situazionali cui la scrittura scenica di Lanera d’abitudine fa ricorso. I due interpreti (Danilo Giuva e Ermelinda Nasuto) non indulgono a mezze misure, ché il dialogo è spezzato, franto di precipitazioni, scoppiante in accesi scatti d’ira, in angoscianti silenzi e nervose risate, anche se sempre di due «ragazzini» si tratta, sicché il fraseggio della Peyrade accompagna un gergo giovanile del tutto credibile che la regia di Licia Lanera immerge in un’atmosfera di cupa attesa, di una violenza inflitta, subita, vendicata»

Pasquale Bellini, La Gazzetta del Mezzogiorno


«La Compagnia Licia Lanera imprime al testo tutti gli stilemi di Lanera, che ne cura regia e spazio scenico: un’ambientazione in cui qualcosa di tragico e agitato sembra appena successo, il gusto pulp per le carni macellate e sanguinolente, i dialoghi ringhianti, la veemenza dei corpi.
Lo spettacolo è coprodotto con Polis teatro Festival, con la collaborazione dell’Angelo Mai. Sul palco, sgorgato dalla secret location di un bassofondo cittadino, Danilo Giuva e Ermelinda Nasuto, che ha dominato la scena praticamente incontrastata. Le luci sono di Vincent Longuemare, il sound design (bello tensivo) di Francesco Curci, i costumi di Angela Tomasicchio, con Nina Martorana come aiuto regista e l’organizzazione di Silvia Milani».

Beatrice Zippo su Cirano Post, 11 ottobre 2022


« “Pugni nello stomaco”. Abbiamo più volte letto (o scritto) questa espressione quando in scena si è avuto in qualche modo a che fare con Licia Lanera. Una peculiarità dell’attrice e regista barese tutta volta a colpire nel profondo dell’animo gli spettatori con scossoni disseminati lungo l’arco temporale dei suoi spettacoli: una sorta di montagna russa in cui la salita è bilanciata da discese che raggiungono l’apice nel finale. Questa volta, però, sembra differente. Con lo spettacolo Con la carabina questi colpi ben assestati sembrano non arrivare mai; forse, però, li percepiamo solo in maniera diversa, perché ti sfiorano dall’inizio – tenui, quasi impercettibili – e non ti lasciano più, portandoti lentamente e inconsciamente all’asfissia. Non siamo più su una montagna russa ma su una ruota panoramica che proprio non vuole smettere di girare.
Proprio un’illuminata ruota panoramica in miniatura capeggia la scarna scena composta di un tavolo e luci da set fotografico, che i due attori – Danilo Giuva e Ermelinda Nasuto – muovono a vista per creare cambi di scena e temporali che frammentano lo spettacolo scritto dalla giovane drammaturga francese Pauline Peyrade. La musica da luna park è subito sostituita dalla prolungata e algida atmosfera sonora creata da Francesco Curci, una di quelle che non lascia presagire nulla di buono. Il francese della Peyrade è tradotto in un barese di periferia, dalla riconoscibile cadenza, dall’uso di forme sintattiche non sempre corrette culminanti, talvolta, in espressioni dialettali.
Un testo che sembra cucito addosso a Licia Lanera (in questa occasione “solo” regista), sempre a proprio agio con la creazione di atmosfere cupe e immagini conturbanti – anche partendo da un innocente coniglio di peluche – e intensamente interpretato dal duo Nasuto-Giuva, duellanti in perfetta simbiosi di una battaglia – più verbale che fisica – senza vincitori».

Nicola Delnero su Scene Contemporanee.it, 4 novembre 2022


Con la carabina di Pauline Peyrade, con Danio Giuva e Ermelinda Nasuto finalista al premio Ubu per la migliore regia e come migliore testo straniero. Là, intorno a un tavolo con sopra una ruota panoramica di luna park giocattolo coloratissima, si mostra un rapporto tra un uomo e una ragazza dipanarsi in un’apparente normalità, per rivelarsi uno stupro di lei giovanissima e diventare alla fine una violenta vendetta contro l’uomo. L’impeto, contro l’ingiustizia.

 

Massimo Marino su DoppioZero


«Per raggiungere quel grado di immersione e compromissione, l’attore e l’attrice non hanno avuto scampo, hanno vissuto insieme, hanno condiviso il testo e lo hanno incorporato, sono stati incredibilmente vicini e affettuosi per poi farsi schifo a vicenda. E per questo sono stati interpreti dalla sensibilità pratica, quella che diventa strumento tecnico, dosata con rigore, cervello e cuore, un esperimento di memoria sia del fatto in sé che dei corpi. Non hanno assolto un compito, non hanno imparato la parte, ma hanno fatto esperienza della mostruosità, per questo il loro è un gesto attorale incandescente, né morboso, né pornografico»

Lucia Medri, Teatro e Critica

“Con la carabina di Pauline Peyrade è un testo che sa essere preciso, realistico e al tempo stesso, pieno di non detti, un puzzle rotto che si costruisce pian piano, tassello dopo tassello fra i baracconi di un Luna Park, i premi e i pelouche al tiro assegno, la fiducia nei confronti di quel ragazzo, amico del fratello e tanto ben voluto da mamma. Raccontato così Con la carabina potrebbe apparire cronachistico, documentale, didascalico, ma non lo è. La scrittura drammaturgica di Peyrade decostruisce e mischia i tasselli della vicenda, usa prolessi e analessi con spudorata disinvoltura e ciò permette non solo di giocare con l’indeterminatezza e la sospensione del tempo, ma anche con un modello di narrazione che si costruisce pian piano, rifacendo ordine nel racconto agito in scena.

Ciò è reso dai due protagonisti Danilo Giuva ed Ermelinda Nasuto con grande precisione e con misurata emotività, ogni gesto, ogni espressione del corpo non può che essere controllata, lo impone la prossimità con gli spettatori, lo impone lo spazio scenico ristretto che richiedono una misura attoriale che non abbia l’eccesso del teatro, ma piuttosto il suggerimento, i micromovimenti del cinema. Tutto questo compartecipa certo a far sì che Con la carabina si offra come un lavoro in sé concluso, molto compatto e al tempo tesso capace di seminare in chi vi assiste, di trasmettere quel senso misto a vergogna e impotenza rabbiosa che agita la protagonista, la donna che arriva a voler vendicare la bambina rubata dall’orco di casa. Tutto questo è diretto da Licia Lanera con grande precisione e senso di servizio al testo e agli attori, un senso di servizio che si trasforma in senso di testimonianza e che conquista calorosi e commossi applaudi da parte del pubblico di Polis Teatro festival, coproduttore dello spettacolo”

Nicola Arrigoni, Il Sipario.it

«La scrittura della Peyrade sollecita interrogativi, fomenta ambiguità che Lanera sembra amplificare nell’adattamento che elimina il doppio tempo della narrazione e rende il testo un unico flusso di parole e sentimenti creando uno spaesamento perturbante. Il suo è un lavoro registico di estremo rigore e nitore, nello stesso tempo ad alto contenuto emozionale ma stranamente raggelante, in cui sembrano sbiadirsi le figure di carnefice e vittima per lasciare spazio a due fragili simboli di un presente che si tinge di disumanità. Le repliche baresi sono ambientate in un luogo «segreto» che meglio non poteva essere scelto. Un locale abbandonato in un rione popolare, un tempo utilizzato dai giovani per ballare e sentire musica, uno scarno spazio straordinario che consente la presenza di poco più di venti spettatori a sera. Un pubblico costretto quasi a sfiorare gli attori e a cui non è consentito venir fuori dalla rappresentazione. Nei primi minuti la location sembra fagocitare tutto e tutti ma poi la bravura dei due protagonisti, Ermelinda Nasuto e Danilo Giuva, ha la meglio. In ruoli affatto semplici i due attori sanno rendere i loro personaggi con una distanza quasi critica ma nello stesso tempo non rinunciando alla forza dell’emozione. Una bella prova la loro che si somma all’accuratezza di tutta la rappresentazione – magnifica la ruota da parco giochi in miniatura- in cui spicca l’ipnotica attrazione della base musicale di Francesco Curci

Nicola Viesti,Il Corriere del Mezzogiorno

« Una musica distorta, che si potrebbe definire ansiogena – sound design di Francesco Curci – quasi un rumore sordo che accompagna, già dalle prime battute, la scena, mentre le luci, curate da Vincent Longuemare, illuminano pienamente i soggetti.
È volutamente ingenua la recitazione di Giuva e Nasuto per permettere i passaggi frequenti dal linguaggio degli adolescenti a quello degli adulti. Si passa dalla luce piena, al focus suggerito da un cambio luminotecnico, gestito direttamente dai due attori, i quali spostano convulsamente le luci a seconda dell’ambientazione.
Sì, perché l’ambientazione si sdoppia, ora è il Luna park all’interno del quale il giovane tenta di insegnare alla bambina a giocare a tiro a segno, ora è un indefinito interno di abitazione. Si passa dalla accettazione passiva di un atto, quello sessuale avvenuto a scapito del personaggio interpretato dalla Nasuto, alla definizione attiva di una consapevolezza, quella di non aver voluto.
Ritorna qui Lanera a trovare in questo simbolo di innocenza e fragilità (il coniglio) presente in scena, l’essenza della sua cifra stilistica. Mostrare la tristizia imponendo allo spettatore, molto vicino alla scena, una sensazione di smarrimento e di oltraggio legato alla presenza in scena di un animale ‘vivo’. Chi conosce il lavoro precedente dell’artista barese troverà nel coniglio un rimando a quel teatro spietato popolato da mostri, in cui anche la vittima è costretta a diventare carnefice. Una regia, dunque, quella della Lanera, che ritorna alle origini del suo linguaggio, in cui i dialettismi si mescolano alla rappresentazione della realtà, a volte inesorabile e dissacrante. Una direzione che alla cruda e tangibile verità, mescola immagini che portano lo spettatore a capire che ciò che si sta guardando non è realtà, ma potrebbe diventarlo. Una scrittura quella della Peyrade decostruita, che analizza l’accaduto saltando tra passato e presente, tra luogo e non luogo, il tutto tradotto benissimo dallo spazio scenico underground scelto dalla regista Licia Lanera, un luogo non teatrale nella periferia del capoluogo pugliese. Con la carabina è uno spettacolo di ‘prossimità’, in cui la vicinanza con il pubblico crea un ostacolo che impone agli attori dei limiti fisici, mentre allo spettatore impone un limite di ‘coscienza’; si è costretti a compromettersi con l’azione a cui si assiste, sentendosi parte ‘attiva’ del tutto».

Liliana Tangorra su paneacquaculture.net, 27 ottobre 2022