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Orgia

CREDITI

 

di Pier Paolo Pasolini

con Licia Lanera

e Nina Martorana

consulenza artistica

Alessandra Di Lernia

spazio luci

Vincent Longuemare

costumi

Antonio Piccirilli

dipinti

Giorgio Calabrese

tecnico di produzione

Amedeo Russi

assistente tecnico

Cristian Allegrini

organizzazione

Antonella Dipierro

regista assistente

Danilo Giuva

regia e spazio

Licia Lanera

produzione

Fibre Parallele

Coproduzione Festival delle Colline Torinesi, CO&MA Soc. Coop. Costing & Management

Con il sostegno di L’Arboreto-Teatro Dimora di Mondaino.

Si ringrazia Garofano Verde XXII rassegna a cura di Rodolfo Di Giammarco.

La mia Orgia è la tragedia di chi non sa stare al mondo.

Negando la sua definizione (non più tre, ma due: uno che è sia Uomo che Donna, più una ragazza), io sono un’unica voce e un unico corpo che racconta l’impossibilità di un essere umano a sottostare a certe leggi sociali, a subire l’inganno della lingua, a imprigionare il corpo in azioni ripetitive, sempre le stesse nel corso della storia.

Ci sono due mondi: uno fatto di paesaggi sconfinati, consolazioni, sorrisi sicuri, inconsapevolezza e armonia, alberi di gelsi, antenati: “Il mondo era così da almeno dodicimila anni”.

E un altro, quello della camera dei due sposi, fatto di violenza e paura, di piacere e rimorsi. L’uomo e la donna riescono veramente a comunicare tra loro solo attraverso il linguaggio del corpo, il più violento. Questo gioco sadomasochistico della coppia è pretesto per parlare del rapporto della diversità, esistenziale, con la storia; e a questa tragedia esistenziale, si associa una riflessione sul linguaggio, cioè la negazione della lingua parlata in favore di quella del corpo. Ne ho fatto fa un unico ragionamento chirurgico e straziante su come è costretto ad affrontare la propria esistenza chi non riesce in nessun modo ad essere dalla parte del potere, e attraverso il rito della violenza, da entrambi accettato, voluto e desiderato, cerca di sfuggire ai meccanismi della storia. Questa figura, in sottana e cappuccio, è un corpo e una voce che non trova il proprio posto dentro la società e ragiona e scalcia, piange, ferisce, si nasconde, si offre e alla fine muore. Muore due volte, muore un’infinità di volte. Si ammazza. Poiché solo nella morte si concretizza la volontà di essere liberi.

Licia Lanera

Sguardi Critici

«Ineffabile e indicibile, la materia scritta di Pasolini, […] diventa potenza lavica, esplosione di senso e di sensualità nella laringe espressiva dell’artista barese, nella sua pelle che si rivela a pieno, nuda, fatale. Penetra la superficie del linguaggio pasoliniano, Licia Lanera divora le sue parole […] mette in campo la propria fragilità, la bellezza incontaminata delle sue paure, la lattiginosa purezza dei suoi furori. In uno squarcio di carne e poesia».

 

Valentina De Simone, Che teatro fa, la Repubblica.it

«Lanera compie il rito fino in fondo, fino alla morte. Scarnifica il testo, lo fa agire e lo agisce, imprimendosi, con una prova d’attrice definitivamente fuori dal comune e il vigore di una regia morbida e arguta, nel solco di un Pasolini veggente e necessario – in ogni epoca – nel suo farci male, nell’inferirci quella sacrosanta, artaudiana ferita per cui vale ancora la pena di andare a teatro».

 

Francesca Saturnino, Che teatro fa, la Repubblica.it

«Ma sorprendente è anche un’impresa all’apparenza titanica, come quella di Licia Lanera di Fibre parallele, che nella scrittura pasoliniana per la scena (dopo aver sempre lavorato su testi propri) è andata a scegliere e a lavorare su Orgia, testo complesso che scava in maniera non pacifica nei rapporti e nell’essenza di uomo e donna. […]L’attrice, forse anche per l’esperienza fatta con Ronconi, è molto maturata, scopre mezzi interpretativi prima forse oscurati dall’impeto drammatico, e dà con quei testi un itinerario di pensiero ineludibile, doloroso eppure sicuro».

 

aGianfranco Capitta, Il Manifesto

«Lanera, unica protagonista, costruisce una partitura d’attore sulla voce (che cambia da un personaggio all’altro) e sul corpo. […] Ne viene fuori una recitazione realistica, più che naturalistica, una sensibilità da carne viva, una vibrazione bruciante che tocca».

 

Anna Bandettini, la Repubblica

«Ecco, dunque, che la Lanera […]riesce, incarnando il verbo, […] a farsi interprete eccelsa, in una ricerca ossessivamente ermeneutica, della parola pasoliniana, rivivendola sulla propria pelle, intimamente, per poi lasciarla esplodere con tutta la sua violenza distruttrice in una eruzione magmatica che espande i propri effetti all’intera sala […]Ne nasce la prova d’attrice più matura dell’artista, che si spinge sino all’estremo di quanto possa permetterle la natura umana, tesa – pare – quasi a superarla, a soverchiarla, ad infrangerla.[…] Per quel che conta, noi siamo sempre stati con Pier Paolo; ora, ça va sans dire, siamo dalla parte di Licia».

 

Pasquale Attolico, lsdmagazine.com

«Il sorriso ironico, le imprescindibili fossette di Licia […] imprimono ai lunghi monologhi e ai dialoghi fra l’Uomo e la Donna un colore di disincantata ironia, ma proprio per questo ancor più inquietante. La scena nuda, […] evidenzia una soluzione registica più simile a una lettura interpretativa che a una rappresentazione teatrale nel senso tradizionale della parola. Una scelta che, lungi dall’essere riduttiva, sottolinea la natura atipica, intimamente verbale e intellettualistica, eppur densa di umori carnali, propria della produzione teatrale di Pasolini. […] Licia riesce a dare spessore di carne e sangue all’intensità semantica e concettuale del verbo pasoliniano. […] Anche per questo motivo, la proposta di Licia, la sua soluzione drammaturgica, sospesa tra perorazione esistenziale e teatro, una sua valenza etica, un’ulteriore, apprezzabile ragione di essere».

 

Claudio Facchinelli, corrieredellospettacolo.it

«Nella rilettura della Lanera, dove carnefici e vittime si scambiano continuamente i ruoli, viene enfatizzata la tragedia della diversità, cara a Pasolini, insieme a quella linguistica. […] La scenografia della Lanera muta via via forma, diventando sempre più grottesca, squallida e nauseante, quasi si stesse preparando un rito di morte, che è allo stesso tempo rinascita e vita. […] La voracità e la spregiudicatezza delle parole e dei movimenti di Licia Lanera, la sua crudeltà e la sua nudità scenica fanno del testo di Pasolini una “Bomba a mano” in procinto di esplodere addosso al pubblico».

 

Martina Di Nolfo, teatrodamstorino.it

«Fra le molte, forse troppe proposte pasoliniane […] quella di Licia Lanera è probabilmente tra le più singolari. […] La Lanera, nello spettacolo presentato al Festival delle Colline Torinesi, spoglia il logos pasoliniano da ogni intento realistico, lo proietta in uno spazio neutro, dichiaratamente performativo, un’ideale arena fornita unicamente di una poltrona di cuoio e due microfoni a stelo. […] Sembra uscire dalla sfera rappresentativa per esibire un sentimento personale, qualcosa di simile ad una toccante verità autobiografica».

 

Renato Palazzi, Il Sole 24 ore

«La diversità a cui dà corpo e parola Lanera sul palco è tragica. Sin dall’inizio ci si imbatte

in una lingua che appare menzognera, rispetto al gesto, invece, animalesco, barbaro e che sfocia nella violenza sessuale, verbale, sentimentale. Sul palco l’attrice si offre come pasto nudo alla rappresentazione dell’ossimoro. […] Pasolini raggiunge vette sublimi di poetica ieraticità, cui, però, Lanera non rinuncia quasi a riscrivere, scalfendo ogni parola nella carne e col sangue».

 

Giancarlo Visitilli, Mastica&Sputa, la Repubblica.it

«Uno spettacolo di elevata qualità, frutto di una regia lucida (Lanera) e di un’interpretazione che mette in rilievo la versatilità della Lanera, oltre al suo indiscusso talento attoriale».

 

Nicola Delnero, paperstreet.it